La storia dell’ad-block è legata a doppio filo con quella della rivoluzione chiamata advertising online. La sua introduzione ha portato un cambiamento epocale per gli utenti, migliorando la loro esperienza online. Tuttavia, i publishers hanno dovuto cambiare le loro strategie per riuscire a superare l’ad-block e continuare a guadagnare con l’advertising online.
Ma andiamo con ordine.
Ad-block: perché?
Sin dagli albori l’advertising online è stato motivo di entusiasmo. Gli advertisers hanno trovato una nuova terra da esplorare e i publishers hanno finalmente avuto l’enorme chance di guadagnare con i loro siti web e spazi online.
Ma come in tutte le belle storie, è arrivata la nota dolente. La pubblicità online, ad un certo punto, ha strabordato nell’eccesso. Banner, pop-up, pop-under e display advertising invasivi hanno letteralmente preso il controllo di moltissimi siti, creando sì grandi possibilità di guadagno per publishers e advertisers ma anche enorme disagio per l’utente.
Perciò, si è resa evidente la necessità dell’introduzione di un modo per bloccare tutte quelle pubblicità invasive che disturbavano la corretta fruizione di un contenuto online. Già nel 2009, l’estensione Ad Block è approdata su Google Chrome, per poi diffondersi in maniera capillare su moltissimi siti.
Ad-block: che cos’è?
Un ad-blocker è una tecnologia utile ad impedire la visualizzazione o il download di pubblicità disturbanti. Tramite una semplicissima installazione sul browser, un ad-block consente ai visitatori di un sito web di usufruire dei contenuti senza alcun tipo di messaggio pubblicitario.
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BOOM Ad-block
L’ad-block ha avuto immediato successo tra gli utenti. Secondo una ricerca di PageFair e Adobe, nel 2015 erano circa 168 milioni le persone che utilizzavano questa tecnologia. L’anno dopo il numero è cresciuto del 41% a livello globale, con un picco negli Stati Uniti, che hanno visto gli utilizzatori di ad-block aumentare del 48%.
I dati del 2019 illustrano come il 34% degli adulti maggiorenni presenti sul web utilizzano almeno una tecnologia ad-block.
La difficoltà per i publishers
Ma come si è tradotta l’introduzione dell’ad-block per chi, come i publishers, monetizza i propri spazi online proprio con le pubblicità?
Nel solo 2015, la stessa ricerca di PageFair e Adobe riporta una perdita per i publishers di 21,8 miliardi di dollari.
Il drastico calo di fatturato derivante dagli introiti pubblicitari ha reso evidente l’introduzione di un nuovo modo di fare pubblicità online per evitare di perdere per sempre il modello di business innovativo advertisers-publishers.
Come vincere l’ad-block?
Da un lato, i publishers hanno necessità di continuare a monetizzare i propri spazi con le pubblicità. Gli advertisers, dal canto loro, vogliono far arrivare le loro sponsorizzazioni a più utenti possibili. Questi ultimi vogliono utilizzare gli spazi online con il loro ad-block per evitare di essere travolti da un’onda di adv.
Come risolvere questa diatriba, soprattutto lato publishers, gli attori più esposti alle ingenti perdite conseguenza dell’introduzione dell’ad-block?
Per fortuna la tecnologia e l’ingegno umano hanno trovato una soluzione e con essa si è fatta strada la consapevolezza che un advertising di qualità, discreto e ben studiato è decisamente migliore alla tracotanza pubblicitaria del passato. D’altronde anche Google, il colosso del web, sostiene la ricerca di un nuovo modo di fare digital marketing.
Quindi, nell’ottica della creazione di un miglior modo di fare ed ospitare advertising online è approdato sul web un canale di comunicazione pubblicitaria diverso, il native advertising.
Native advertising per vincere l’ad-block
Per un publisher uno dei metodi più efficaci per superare l’ad-block, guadagnare con l’advertising sul proprio sito e mantenere la propria utenza è il native advertising. Come publisher, infatti, potrà usufruire di un tipo di pubblicità che si adatta perfettamente al contesto editoriale con ads poco invasive e mimetiche, tarate sul target del sito.
Non solo, gli annunci nativi non vengono identificati dall’ad-block come intrusivi proprio perché si integrano con il sito e non disturbano la users experience. Inoltre, tramite il native advertising viene veicolato un tipo di adv in cui il contenuto ha un valore chiave per la promozione di un brand.
In questo modo i tuoi utenti potranno godere momenti di qualità (anche quelli advertising) e restare fedeli al sito. Tutto questo si traduce in una monetizzazione più efficace ed efficiente dei propri spazi, con una cura particolare all’elemento chiave di questo guadagno: le azioni dell’utente.
E tu, hai già sperimentato il native advertising sul tuo sito?